Realizzare un fumetto, vuol dire
creare qualcosa.
In principio c'è la quiete e il nulla di un foglio bianco. Poi l'
ispirazione, l'autore si tende inspirando e, così, inizia tutto...
un movimento dopo l'altro, un respiro dopo l'altro per comporre il ritmo della narrazione, matita, gomma, china, mouse, via via fino alla fine... il completamento dell'opera.
Espiro...
Per far ciò, si può lavorare da soli oppure in gruppi più o meno ampi, più o meno accreditati nei titoli dell'opera: dal classico binomio sceneggiatore/disegnatore, a cui – soprattutto negli U.S.A – spesso si aggiungono altri elementi come chi realizza le "matite" e chi le "chine" – senza contare il colorista – fino a giungere alle vere e proprie squadre che caratterizzano molti Studi del mercato giapponese dei Manga.
Dunque creatività individuale oppure di gruppo. Flusso che manifesti i caratteri individuali dell'autore o, dall'altra parte, un intreccio di compromessi tra i caratteri dei singoli che compongono il gruppo. Via
individualista o via
collettiva...
Ma è davvero in questo binomio
dualista, che si può riassumere la creatività?
Quanto un autore che lavori singolarmente può considerare l'opera che ha realizzato, come unica ed esclusiva espressione di sé?
Andrea Pazienza, per definire la propria dimensione creativa, la paragonava ad un ripetitore TV che
captando dei segnali, li riproduce per diffondendoli nell'etere
.
Lo sceneggiatore Alan Moore, intervistato sui propri processi creativi, parla di veri e propri riti magici che lo pongano nella condizione di farsi attraversare da quel "qualcosa" che lo condurrà alla produzione dell'opera.
Ogni autore può citare diversi predecessori e contemporane che lo abbiano influenzato: come sarebbero state le atmosfere oscure del Sin City di Frank Miller, o l'espressionismo umano dell'Alack Sinner di José Munòz, senza le pennellate di Hugo Pratt? e come si sarebbe espresso, quest'ultimo, se non ci fosse stato Milton Caniff?
e poi ci sono le letture, la musica, i film, la tv, il web e tutto quell'oceano culturale nel quale, più o meno scientemente, nuotiamo ogni giorno; e le esperienze umane che attraversiamo, e i sogni, e l'istinto, e la memoria familiare, e quella storica collettiva, e quella di specie, e l'immensità chimico/biologica della natura, e le scoperte scientifiche e tutta quell'infinita rete di connessioni che genera la realtà che ci circonda e pervade.
Avendo coscienza di tutto ciò, l'autore unico di un'opera, può davvero pensare di averla generata individualmente?
Affinché tutto ciò ci attraversi, è necessario mantenere un'apertura del proprio essere ad ogni tipo di stimolo e rapporto interpersonale, nonché affinare la propria sensibilità umana, tanto quanto l'abilità tecnica che ci consentirà di darle una forma specifica.
Siamo simili tra noi, ma ciascuno è diverso dall'altro per genetica, vissuto e sogni: un miscuglio di energie che modellano la nostra percezione e i nostri movimenti, rendendoli unici, anche sul foglio di carta. A parità di soggetto, il nostro modo di rappresentarlo e raccontarlo sarà diverso. Ecco l'espressione di sé.
Il senso del collettivo di fine anno che proponiamo al corso, può essere anche questo: un'opportunità per esplorare l'ispirazione e la creatività fuori dal proprio ego, senza che ciò vada a discapito della libertà di esprimere il proprio sé.
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2005. John & Brown. Luca Torsello (primo anno) |
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2006. La sostanza. Elos Ermacora (terzo anno) |
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2011. Costole. Matteo Brenna (secondo anno) |
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2013. Raccapricci. Simone Aliprandi (secondo anno) |
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2013. Raccapricci. Stefano Acerbi (terzo anno) |
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2015. REM. Tommaso Dall'Osto (secondo anno) |
Allora, ecco che il foglio bianco potrebbe non essere più il nulla in attesa della creazione, ma l'opportunità di tracciare ciò che era già prima che noi gli dessimo una forma.
La nostra.
Evviva, ci sono anch'io! :DDD
RispondiEliminaSì... c'eri anche la volta scorsa. Dovresti raddoppiare le d maiuscole ^_^
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